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DS16GAMMA - MISSIONE 12 RSS DS16GAMMA - Missione 12

12.04 " Sulle tracce degli scomparsi "

di T'Lani , Pubblicato il 06-05-2014

Teretus IV – Campo base Ore 14:30


Yelath si era allontanato. Non si vedeva nessuno in giro. Il campo
base, almeno da dove si trovava in quel momento, sembrava
completamente deserto. E naturalmente, al dottor Sonx andava bene
così. L'ultima cosa che voleva, era stare troppo a contatto con lo
scienziato andoriano. Un medico non dovrebbe giudicare i propri
pazienti, pensò, ma non poteva fare a meno di avvertire una spiacevole
sensazione di viscido in quell'uomo.
Dal'Amar Sonx abbracciò con lo sguardo la vallata. Il campo base –
pochi moduli prefabbricati di colore avorio chiaro, d'aspetto
piuttosto logoro - era stato posto in posizione riparata, vicino alle
pendici di una piccola collina erbosa, punteggiata di fiori simili a
quelli che aveva visto sbocciare poco prima. L'aria era tersa, e la
temperatura era quella che un denobulano come lui trovava molto
piacevole – anche se l'andoriano, durante il suo esame medico, si era
più volte lamentato per il caldo che aveva sofferto su quel pianeta.
Girò le spalle al campo base, ed iniziò a fare qualche passo in
direzione della vetta.
Non poteva sapere se la Fearless avesse ricevuto o no la sua
trasmissione, o se fosse in grado di tracciare i suoi segni vitali
attraverso il campo di smorzamento... Perché era fin troppo chiaro che
su quel pianeta qualcuno – i tre scienziati, certo, chi altri? - aveva
installato un campo di smorzamento, da qualche parte, per disturbare
le trasmissioni.
I suoi passi affondavano nell'erba alta. Si chinò a raccogliere uno di
quei fiori d'aspetto cristallino, senza realmente guardarlo.
Che cosa avrebbero fatto adesso, dalla sua nave? Difficilmente
avrebbero organizzato un altro teletrasporto, per ricercare gli
scomparsi. Troppo pericoloso... Più probabilmente, sarebbe arrivata
una squadra a bordo di una navetta. Una squadra molto bene armata.
Il campo base sparì dietro uno sperone di roccia. Nella parte battuta
dal vento, la collinetta diventava più spoglia. Dal'Amar si inerpicò
appoggiandosi alla parete, per guardare il panorama sotto a lui. La
collinetta era in realtà la prima propaggine di una intera catena
rocciosa, molto piu' alta, che sembrava estendersi verso nord, al di
là di una valletta alluvionale, percorsa dal tracciato di un
torrentello in secca. La vetta della montagna più lontana aveva una
spruzzata di neve. Yelath avrebbe potuto costruirsi il proprio
alloggio sopra quella montagna, pensò Dal'Amar.
Nessuna costruzione in vista. Nessuna traccia di manufatti.
Dov'era andato Yelath? Dov'erano gli altri due scienziati? Dove erano
andati a finire Shivhek ed Auloh? Qualcosa gli diceva che tutte le sue
domande avevano in realtà la medesima risposta, anche se un vulcaniano
come Shivhek non avrebbe capito la logica alla base delle sue
sensazioni. Anche perché non avevano alcuna logica, sogghignò
Dal-Amar, appoggiandosi alla roccia.
Le sue dita tamburellavano sul DiPad medico con il quale lo aveva
esaminato. I segni vitali dell'andoriano erano conservati là dentro.
Peccato che l'arnese avesse una portata così limitata...
Colse un movimento con la coda dell'occhio e si irrigidì,
schiacciandosi alla parete.
Almeno una risposta alle sue domande, pensò, riconoscendo in distanza
il fisico di Yelath. L'andoriano era spuntato alla base della
collinetta, e stava camminando lungo il greto del torrente.
Dopo qualche istante l'uomo sparì, come era comparso, dietro un
mucchio di cespugli. Dal'Amar esitò un istante, poi decise.
“Boh, tutto sta ad andare a vedere!” - mormorò a sé stesso, iniziando
a scendere dalla roccia.

USS Fearless
Plancia- Ore 19:00



“Ci sono novità?” - domandò nervosamente Shanja Xar. Fish si sporse a
controllare i monitor delle postazioni accanto, prima di rispondere
scrollando le spalle:
“No... O meglio, non so se si tratta di una novità o no. La posizione
dei segni vitali del dottore sembra muoversi sulla superficie. Non a
grande distanza dal campo base, però.”
“Continuate a seguirlo, ed a sondare il territorio del pianeta -
ordinò Shanja. Per un lungo istante, in plancia si udì solo il
ticchettio degli strumenti ed il respiro degli uomini.
“Stiamo ricevendo un segnale dalla Koraga, su canale protetto. Sono
pronti!” - disse Fish.
“Sullo schermo!”
Il tenente Fish le scoccò un'occhiata interrogativa. Shanja aggiunse:
“Si, lo so che sono in occultamento. Metta sullo schermo il settore di
spazio da cui viene il segnale della Koraga”
Fish tornò a chinarsi sulla sua consolle. Sul monitor centrale la
sagoma ormai familiare di Terethus IV si scostò, per venire
rimpiazzata da una zona di spazio apparentemente sgombra, appena
lambita dal cerchio azzurro dell'atmosfera sopra i poli. Shanja fissò
lo schermo, cercando di intravedere qualcosa che le facesse capire la
posizione della nave klingon, finché non le parve di percepire un
tremito, appena un battito di ciglia, talmente rapido che si chiese se
non avesse semplicemente creduto di vederlo.
“La Koraga sta comunicando di avere appena lanciato le navette con le
squadre di sbarco” - disse Fish.
“Capisco... - mormorò Shanja - Si sono posizionate ai poli magnetici
in modo da avere il più a lungo possibile l'effetto sorpresa”
“Se riescono ad entrare nell'atmosfera mantenendo la posizione sul
polo magnetico abbastanza a lungo, possono arrivare fino a sfiorare il
terreno e quindi sfuggire ai classici sistemi di sorveglianza
terrestre” - confermò il tenente Fish - “E' una tattica consolidata,
ce l'hanno spiegata all'Accademia”
“E allora speriamo che i tre scienziati non abbiano mai letto dei
testi tattici dell'Accademia della Flotta Stellare” - borbottò Shanja,
cincischiando con i pulsanti della poltrona centrale. Era molto più
scomoda di quanto si pensasse, quella poltrona, pensò la trill.
Sentiva su di sé gli sguardi pesanti del personale di plancia.
Dovevano chiedersi se lei era veramente in grado di comandare quella
nave, si disse Shanja. Se lo chiedeva anche lei.
“Anche se fosse...” - iniziò Fish. Shanja lo fissò con uno sguardo che
voleva essere gelido. L'uomo si interruppe mordendosi le labbra -
“Cioè, volevo suggerire... Che comunque, anche se li avessero letti,
laggiù...” - accennò allo schermo centrale, che era tornato ad
inquadrare il profilo azzurro del pianeta - “Laggiù, dicevo, sono solo
in tre. Non possono... Non hanno la possibilità materiale... Di
opporsi a squadre di assalto klingon e federali! Voglio dire...”
“Ho capito benissimo quello che lei vuol dire, tenente” - ribatté,
fredda, Shanja Xar - “Ma è proprio questo che mi inquieta...
Qualunque cosa sia successo su quel pianeta, era ovvio a chiunque
possieda un minimo di raziocinio che l'azione avrebbe avuto
conseguenze. E quali sono le conseguenze più ovvie, non voglio dire ad
un sequestro, ma anche solo ad una sparizione non dovuta ad una
qualunque volontà aliena? - non attese che Fish le rispondesse, ed
alzò una mano per impedirgli di interloquire – Appunto. L'invio di
squadre di ricerca, esattamente come abbiamo fatto... Abbiamo seguito
la strada più ovvia. E mi sto chiedendo se questo non sia stato un
errore. Ma se così fosse... Ho paura che lo scopriremo molto presto” -
la voce di Shanja morì in un sussurro. Si riprese:
“In ogni caso lo vedremo. Schermo sul pianeta, inquadrare la zona
fissata per lo sbarco.”



Terethus IV
Navetta Klang
Ore 19:05



La navetta penetrò nell'atmosfera in una perpendicolare quasi
perfetta, incanalandosi in uno stretto corridoio che, Riccardi lo
sapeva, era solo un tracciato immaginario costruito sulle emissioni
magnetiche dei poli. Dietro di loro, altre navette seguivano lo stesso
percorso protetto.
Appena passate le fasce di Van Allen, il pilota spense i motori e la
navetta parve stallare, mentre precipitava in direzione dei ghiacci
del polo. La temperatura esterna cominciò ad aumentare, compensata
solo parzialmente dalla schermatura. All'interno, il respiro pesante
degli uomini si mischiò all'odore di sudore e di paura. Le divise
diventarono improvvisamente pesanti ed insopportabili, mentre lo
sbalzo di gravità faceva salire lo stomaco in bocca. Riccardi chiuse
gli occhi, imponendosi di ignorare i rumori degli uomini che
rimettevano. Per distrarsi, si impose di pensare ad altro. Stavano
attraversando la troposfera. Dopo veniva la stratosfera. Poi la
mesosfera. Come una cantilena, continuò a ripetere quei nomi.
Troposfera. Stratosfera. Mesosfera. Termosfera. Ionosfera. Esosfera.
Di nuovo. Troposfera. Mesosfera...
“Terra!” - qualcuno urlò. Riccardi riaprì gli occhi, in tempo per
vedere il pilota Klingon sogghignare guardandoli. La donna stava con
le braccia conserte, voltata ostentatamente verso il centro della
navetta. Alle sue spalle, attraverso il campo di forze, si vedeva il
ghiaccio dei poli che si avvicinava a velocità terrificante. Doveva
riaccendere i motori, compensare la caduta, o...
“Cosa credi di fare, di stare giocando?” - sibilò Riccardi. Quanto
mancava a terra? Duemila metri? Di più?
“Io? - rise la klingon – Siamo ancora troppo lontani. Non voleva
evitare il rischio di essere intercettato da eventuali sistemi di
ricognizione?”
“Cos'è, una di quelle stupide prove di coraggio da liceali? - ribatté
l'umano. Il pack era vicinissimo - Voglio anche evitare di morire in
maniera stupida, schiacciandomi a terra prima di poter far vedere il
mio valore in battaglia!”
La Klingon sogghignò ancora, quindi senza neanche guardare, sporse un
dito alle sue spalle, premendo un pulsante. I motori si riaccesero, e
Riccardi avvertì sul petto la pressione delle cinture di sicurezza
mentre la navetta rallentava. Quindi la Klingon si girò di nuovo,
canticchiando una canzone da operetta, e rimise in assetto il
velivolo.
*Appena in tempo!* - pensò Riccardi, infuriato. Metà dei suoi uomini
sarebbe atterrato sentendo le gambe molli per colpa di quella dannata
pilota Klingon. Non sapeva il suo nome, ma stesse tranquilla, che le
avrebbe fatto imparare il suo, non appena fossero stati a terra! Si
distrasse a guardare le distese di ghiaccio che adesso apparivano
anche attraverso i finestrini laterali. Erano a non più di una ventina
di metri dal suolo. Sul pack intravide i movimenti di un qualche
animale che si gettò in acqua al loro passaggio.
“Quanto manca al punto di rendez-vous?” - domandò.
“T meno cinque” - rispose indifferente la Klingon.
Il pack lasciò il posto ad una distesa d'acqua, quindi ad una terra
dall'aspetto brullo ed inospitale, che a poco a poco iniziò a coprirsi
di erba rada, quindi più folta.
Mancava poco al campo base.
La navetta rallentò, riportandosi in formazione con le altre due della
squadra, quindi poggiò lentamente a terra. Si udirono i respiri di
sollievo degli uomini mescolati al rumore delle armi che venivano
approntate e delle cinture di sicurezza che venivano sganciate.
“Niente in vista - disse la pilota, con tono deluso – Nessuna
opposizione. Se va tutto così liscio, non ci sarà da divertirsi...”
“Adoro annoiarmi” ribatté Riccardi, sganciando a sua volta la cintura
di sicurezza. Si alzò, controllando il fucile faser, quindi andò ad
aprire il portellone. Lo investì un fiotto d'aria limpida
“E adesso, ragazzi, andiamo ad annoiarci un po'”


Terethus IV - Località imprecisata - Ore 19:05


Dal non aveva bisogno di guardare per sapere che quella era la strada
giusta. Bastava seguire la traccia dei suoi segni vitali. Come in quel
terrificante libro di fiabe terrestri che aveva letto tanti anni
prima, quando ancora stava imparando il federale standard. Come si
chiamava? Non riusciva a ricordarlo, ma non importava. Avrebbe
guardato nei database appena tornato a bordo della sua nave, se si
fosse ricordato del suo dubbio... Adesso, quello che importava, era
continuare a seguire la traccia di Yelath. Il greto del torrente in
secca mostrava ampie tracce del suo passaggio... O forse di ripetuti
passaggi in un periodo di tempo abbastanza lungo, visto che alcune
tracce erano piuttosto degradate, secondo quanto gli segnalava il suo
tricorder medico. Le tracce si mischiavano a microscopiche particelle
di DNA romulano e cardassiano. Non ci voleva un asso
dell'investigazione per capire che l'archeologo Merth ed il fisico
Resath facevano spesso quella strada. Un asso dell'inv!
estigazione, a questo punto, probabilmente avrebbe già capito perché,
pensò Dal con autoironia. E questo dimostra che io non lo sono...
Il tricorder ticchettò, rivelando che le tracce di DNA si stavano
facendo sempre più fitte. Yelath doveva aver abbandonato il greto del
torrente. L'erba che spuntava ancora fitta sulle rive del torrente in
secca, in quel punto era schiacciata, mostrando una sorta di
sentierino che si inerpicava verso la montagna.
*Però, sto migliorando!* - pensò, seguendo la traccia.
Il sentiero era breve. Si fermava all'improvviso, di fronte ad una
lunga parete rocciosa che chiudeva completamente la strada. Il dottore
si bloccò, perplesso. Yelath non era tornato indietro sul sentierino,
perché lo avrebbe incrociato. Lanciò un'occhiata sulla parete
rocciosa, che si stendeva quasi senza asperità per parecchi metri.
L'andoriano non aveva degli stivali antigrav addosso quando si era
allontanato dal campo base... Se ne sarebbe accorto.
Dal riprese in mano il tricorder, ed iniziò ad esaminare la roccia.
Granito, basalto, tracce di DNA, ancora basalto...
Niente?
Dal scosse il tricorder. Basalto. Basalto. E poi... ? Non registrava
più nulla, come se la roccia di fronte a lui non esistesse. Eppure, da
un certo punto in poi, il tricorder ricominciava a funzionare. Saggiò
la roccia con la mano. La mano penetrò senza alcuno sforzo. Alla
cieca, seguì il bordo di quello che sembrava lo stipite di una porta,
che partiva da circa quaranta centimetri da terra.
Si morse le labbra, incerto se provare ad aprire quella porta oppure fermarsi.
“Non sono arrivato fin qui per fermarmi!” mormorò fra sé.
Spense il tricorder ed avanzò.